Il Folle: Storia di una Maschera Ribelle
Avete mai pensato a quanto sia strana la figura del folle? Lo troviamo nei libri, nei tarocchi, nei teatri e persino nei palazzi dei re. È quel personaggio che sembra dire sciocchezze ma che, in fondo, nasconde verità profonde. È un outsider, un ribelle, un anarchico della mente. Ma come è nata questa figura? E perché continua a esercitare un fascino irresistibile?
Alle origini della follia
Il termine “folle” viene dal latino follis, che significa “sacco pieno d’aria”. Un modo elegante per dire “vuoto di senno”. Ma attenzione: dietro questa apparenza di vuoto, si nasconde qualcosa di molto più complesso.
Già nell’antichità, la follia non era vista solo come un difetto. C’era la follia divina, quella che prendeva i profeti, i visionari, i guerrieri in battaglia. Un guerriero in preda al furor diventava inarrestabile, perché combatteva senza paura, spinto da un’energia irrazionale.
Poi è arrivato il Medioevo, e il folle ha cambiato ruolo. Da una parte c’era chi lo considerava un’anima perduta, un eretico lontano da Dio. Dall’altra, c’erano coloro che vedevano nella follia una sorta di specchio della fragilità umana. In fondo, chi può dire di essere davvero savio?
Il buffone: il folle con licenza di parola
A un certo punto, la follia è diventata un mestiere. Nasce il buffone, il giullare di corte, quello che poteva dire tutto senza finire sulla forca. Era l’unico che poteva prendere in giro il re senza perdere la testa (quasi sempre).
Il buffone aveva un talento speciale: sapeva trasformare la verità in gioco. Con battute, storielle e canzoni metteva in luce le ipocrisie del potere. A volte era solo un clown, altre volte un vero e proprio consigliere nascosto dietro una maschera di pazzia.
Ma attenzione, non era solo nei palazzi reali che il folle trovava il suo posto. Nelle piazze e nei mercati c’erano i giullari, artisti poliedrici che mescolavano teatro, satira, musica e acrobazie. La Chiesa li guardava con sospetto, ma il popolo li adorava. Erano le prime “voci fuori dal coro”, le antenne di un’epoca senza giornali né social network.
Il Folle nei libri e nelle carte
Se c’è un libro che ha reso omaggio alla follia, è L’elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Qui la Follia parla in prima persona e si prende gioco della saggezza umana. Perché, in fondo, chi si crede troppo intelligente spesso è il più sciocco di tutti.
E poi ci sono i fool di Shakespeare, quei buffoni che, tra una risata e l’altra, sono gli unici a dire la verità. Pensate al Matto di Re Lear, che sembra svitato ma è l’unico a capire davvero cosa sta succedendo.
E vogliamo parlare dei tarocchi? Il Matto è una carta speciale, senza numero. Può essere lo zero o il ventidue, l’inizio o la fine. È il simbolo del viaggio, del salto nel vuoto, della libertà assoluta.
Dal Medioevo a oggi: il folle moderno
Pensate che il folle sia un personaggio del passato? Niente affatto! La sua eredità vive ancora oggi.
Prendiamo Dario Fo, il grande giullare del Novecento. Con i suoi monologhi e le sue commedie, ha ridato voce alla satira popolare, facendo ridere e pensare allo stesso tempo.
E poi c’è l’idea del folle come artista visionario, quello che vede il mondo con occhi diversi e lo trasforma in qualcosa di nuovo. È il ribelle che non accetta le regole, l’outsider che sfida il sistema con una risata.
Il folle come monito
Alla fine, il folle è più di un semplice personaggio: è un’idea, un simbolo. Ci ricorda che la normalità è spesso un’illusione, che la verità non sta sempre dove pensiamo di trovarla. È un invito a pensare con la propria testa, a non avere paura di essere diversi.
Perché, come diceva il Matto nei tarocchi, a volte bisogna perdersi per trovare la propria strada.